il mercato originale
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Da quando frà Sebastiano era stato assegnato all’abbazia di Nonantola, era la persona più felice del mondo. Giovane, entusiasta, mirabilissimo calligrafico e miniatore, finalmente poteva lavorare nel cuore di un grande scriptorium a somma gloria di Dio e soddisfazione personale. Avrebbe copiato e miniato i libri sacri, dato forma nientemeno che alla Divina Parola, le sue mani sarebbero state le umili artefici dello stesso Pensiero Creatore, il Verbo si sarebbe fatto Segno grazie a lui, lui il tramite, lui il replicatore, lui il sigillatore della Verità su pergamena, non gli pareva ci fosse compito più grande di questo. Così, quando quella mattina varcò per la prima volta la porta del grande scriptorium, accompagnato dall’Abate in persona a da alcuni anziani monaci, era emozionato come un bambino. Eccoli lì, davanti a lui i Sacri Testi, appoggiati sui banchi, dove abili e solerti confratelli, già chini sugli inchiostri, vergavano e decoravano copie preziose dei preziosi manoscritti, puntualmente clonati, moltiplicati, replicati in cartapecora, per essere tramandati alla Cristianità.
Tutto ciò gli sembrava sublime.
Avrebbe cominciato con il Libro del Profeta Osea, del quale andava fatta copia miniata per la Diocesi di Modena, in medio formato, feriale, da rapida consultazione, con miniatura delle sole iniziali, per studiosi e dottori della fede. Il monaco bibliotecario arrivò dalla torre di custodia con un ingombrante tomo che depositò con cura sul tavolo. Sull’incipit cubitale si leggeva appunto il profeta designato. Nel più grande silenzio, il monaco bibliotecario gli consegnò pergamene e inchiostri con gesto solenne. Quel silenzio sacrale costituiva una piccola cerimonia: la prima lettera del novizio amanuense stava per essere disegnata. In silenzio, frà Sebastiano baciò il libro. Salì un sommesso Pater Noster, sottovoce, cui si unì tutto lo scriptorium, quindi, ricevuta la benedizione dell’Abate, con movimenti studiati e lenti aprì il frontespizio e voltò la prima pagina. Appoggiò una pergamena nuova sul banco, affiancandola al libro. Intinse il pennello nell’inchiostro, e si apprestò a vergare la prima lettera della prima parola. L’Abate e i savi monaci attesero che il gesto fosse compiuto, iniziatico rito, per poi lasciare frà Sebastiano al suo compito e proseguire, l’Abate per la colazione che era stata lasciata a mezzo e i savi monaci per le occupazioni loro. Ma frà Sebastiano aveva lasciato la mano a mezzaria e si era come pietrificato per l’emozione. “Questi giovani! – pensò l’Abate – non hanno rispetto proprio di nessuno” Dette uno sguardo per quanto possibile benevolo a Sebastiano, per incoraggiarlo, ma vide una espressione di disorientamento nello sguardo del giovane amanuense, che più che emozione sembrava preoccupazione autentica.
“Che c’è figliolo?
“Eccellentissimo Abate, io… non so, ma ecco…
“Ebbene? Su, parla! Non v’è nulla da temere!
“Eccellentissimo, ma questo tomo non è un originale!
“Certo che no, gli originali sono custoditi con grande rigore nelle Teche Sacre e non vengono certo spostati per essere copiati!
“…Ma così noi copiamo delle copie.
“…Non potrebbe essere altrimenti. …Qualcosa non va, fratello?
Silenzio.
Imbarazzato silenzio.
Tutti gli altri monaci che operavano agli scriptorii avevano girato lo sguardo verso l’Abate e frà Sebastiano. E fra i due si capiva bene che Sebastiano non aveva chanches. Fra Sebastiano sentì la cupa tragedia aleggiare nell’aria in cerca di vittime.
I savi monaci si scambiarono alcuni sguardi con l’Abate, poi uno di loro ripetè, in tono leggermente meno benevolo, la domanda. “Qualcosa non va, fratello?”
“Perdonatemi lo sconcerto – disse Sebastiano – sapete, …è la mia prima volta e devo tutto imparare delle sacre procedure, …ma poi i testi vengono controllati che siano integralmente corrispondenti agli originali?”
“In che senso?” sbigottì risentito l’Abate. Sebastiano ebbe la certezza che la Tragedia aveva trovato la sua vittima e si senti come un agnello condotto al macello.
“Nel senso…perdonate l’ignorantia…nel senso che se per disgrazia avvenisse un errore copiativo, il copiatore successivo non potrebbe che replicare l’errore…” Sebastiano ebbe la certezza che sarebbe stato espulso e rinviato al triste monastero d’origine. Quella sera l’Abate avrebbe mangiato abbacchio d’agnello.
“Ma certo che controlliamo!” stizzì l’Abate, esasperato dall’imbecillità e dall’arroganza di quel novizio, che se non fosse stato suo nipote lo avrebbe strangolato con le sue stesse mani… e l’idea dello strangolamento gli regalò un istante di cinica soddisfazione pensando allo spregio che avrebbe arrecato, nell’eliminare quell’insolente figlio, alla di lui madre, la cui immagine nella mente dell’Abate si era subito materializzata nei sembianti di quella zoccola di Ermengarda, madre impertinente di impertinente figlio, che in gioventù lo rifiutò in malo modo per poi sposarsi con quel citrullo di suo fratello minore… ah, ma questa era un'altra storia, che ormai non preoccupava più l’Abate, sottrattosi con i voti alle concupiscenze terrene… o almeno non avrebbe più dovuto preoccupare l’Abate….pensò infatti che era molto sconveniente per un Abate preoccuparsene ancora… ecco…. ah, Ermengarda!...ma il raffreddarsi della colazione invece sì, poteva e doveva preoccuparlo, anzi, a pensarci bene, si era proprio imbestialito…. Per quanto lo riguardava, voleva andarsene quanto prima da quello scriptorium del cavolo.
L’Abate cercò nei savi monaci sguardi di consenso al suo impetuoso “Ma certo!” che confutassero ogni dubbio all’impertinente novizio, e li passò in rassegna uno per uno, sguardo per sguardo… Guglielmo Monaco, il principe dei teologi, da ben otto anni gloria di quell’abbazia…Frà Liutprando, esperto di lettere greche e antiche…il monaco Preposto Bibliotecario, custode delle Sacre Teche…Padre Norberto, direttore dello Scriptorium, celebrato maestro miniatore …Ma su nessuno di questi l’Abate riconobbe sguardi di consenso.
Ci fu un altro attimo di silenzio.
L’Abate, l’eccellentissimo Anselmo, era un longobardone di quasi cento chili che da laico era stato Duca del Friuli e gran roteatore di spadoni, e che prima di dover fondare una dozzina di conventi a giro per l’Italia (per onor di casato), era stato di ben più bellicosi intenti. Aveva decapitato più di un nemico in battaglia, finchè per poco non decapitarono lui e fu costretto a prendere quei voti che gli avevano definitivamente sbarrato la strada alla successione dinastica, garantendogli una gloria e una santità che non aveva né cercato né sperato, anzi per la precisione una dozzina di altrettante glorie e santitudini, una per ogni convento che gli era toccato fondare. Pensione degna per un rampollo sconfitto di casa reale, rimasto da allora più attento alle questioni militari che non agli affari di religione. Certo non brillava per dedizione religiosa, ma seguiva il suo ufficio d’abate con un qualche scrupolo, sia pure senza capire gran che di cose di convento. I suoi sottoposti mandavano avanti la baracca e lui poteva limitarsi a bere e mangiare e cantar qualche messa, quest’ultima con un suo vocione stonato di montone infreddato, e tanto bastava a fare il mestiere dell’Abate. Realizzò immediatamente di non conoscere, nemmeno lui, chi controllasse i manoscritti, ma era pur sempre l’Abate e aveva obblighi di sorveglianza sulla Santa Fede Cattolica e su tutti i suoi manufatti, perciò chiese ai savi monaci, non più con lo sguardo ma a voce alta: “Ma insomma, chi è che si occupa di controllare la esatta rispondenza delle opere?”
Silenzio.
“Ebbene?”
“Ma, eccellentissimo Anselmo – azzardò il monaco preposto bibliotecario – non c’è alcun bisogno di controllare, non possono essere fatti errori, l’attenzione e la preparazione degli amanuensi è a prova di ogni possibile sbaglio…”
“Si, ma chi controlla?”
Silenzio.
Il silenzio davanti a un superiore significa sempre che il superiore è in fallo, e per non contraddirlo pubblicamente si tace. Il dodici volte venerabile Anselmo lo sapeva bene e da quell’ostentato silenzio gli fu chiaro che quello che si doveva occupare di controllare tutto, era lui. Personalmente o magari delegando un preposto in sua vece.
“Quand’è l’ultima volta che abbiamo tirato fuori gli Originali forniti da Roma?”
Silenzio.
Evidentemente non aveva mai delegato nessuno.
L’incazzatura che si leggeva nello sguardo dell’Abate era tale che a Sebastiano sembrò avesse stimato prudente di cambiar aria perfino la Tragedia. Che semplicemente era fuggita, verso meno burrascosi lidi.
“Ci vediamo qui fra un ora, dopo colazione, voglio andare alle Sacre Teche. Voi tutti verrete meco. Frà Sebastiano, verrete voi pure al seguito”.
Almeno la colazione era salva.
Un ora dopo, puntuale, una solenne processione di tonache e torce saliva verso la cima della torre di custodia alle Sacre Teche. Nel salone più alto della torre si fermò.
“Da dove vuole che iniziamo, eccellentissimo Abate?” azzardò timoroso il monaco Preposto Bibliotecario.
Il vocione dell’Abate scosse la polvere secolare: “dall’inizio, da dove, se no? ….Genesi!”.
E da uno scaffale fu tratto un voluminoso tomo, come indicato ai monaci inservienti dal bibliotecario. Era l’originale inviato da Roma, quasi un secolo prima, alla regina Teodolinda, e fu appoggiato sul grande banco di lettura al centro della sala. L’Abate vi si avvicinò, affiancato dai savi monaci, fece avvicinare le torce, e con le sue stesse mani aprì il libro mentre il gruppo dei savi colli si allungava verso le pagine aperte. L’Abate cominciò a leggere scrupolosamente: “Dal libro della Genesi….(pausa)… In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora, la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque”… Sembrava tutto in ordine, pensò l’Abate. “Poi Dio disse: Sia la luce! E la luce fu!”…. I savi sospirarono, liberando i rispettivi colli e cervicali dalla inespressa quanto palpabile tensione. Quindi, rasserenandosi un poco, ascoltarono il resto... “Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre”… La lettura, conforme alle canoniche diciture, prendeva ormai il sapore dello scampato pericolo. “…e chiamò la luce Giorno e le tenebre Notte”. Sebastiano s’immaginò a belare davanti alla mannaia. “…e fu sera e fu mattina, secondo giorno”. Quella sera ci sarebbe stata una indigestione di abbacchio. “E Dio disse: "Facciamo l`uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra". Che poi a lui nemmeno gli era mai piaciuto l’abbacchio! “Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l`uomo che aveva plasmato”… Aveva sempre preferito il pollo all’agnello! “…E il Signore Dio disse: "Non è bene che l`uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile". Il pollo era il suo animale preferito, si era sempre sentito un po’ pollo. “…Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all`uomo, una donna e la condusse all`uomo”…. Più che altro si era sempre comportato da pollo. “…Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna…”
E sarebbe morto da pollo.
“percato…per…meccato origiMACHEDIAMINEC’ÈSCRITTOQUI?!!!
L’Abate era inciampato in una specie di scarabocchio. Le cervici canute e chieriche dei savi si precipitarono zigomo contro zigomo a scrutare il rigo. Ci fu una rissa di craniate e interpretazioni sull’anomalo geroglifico, si, si, una emme, no, invece una pi, per forza una pi, ma manca la ci, è una pi con tre gambe, ma una pi con tre gambe è appunto una emme.
"Silenzio! - zittì tutti l’Abate. Poi continuò:
"Guglielmo monaco, volete ripetere, cortesemente, quello che avete detto?”
"Ho detto, mio eccellentissimo Abate, che una pi con tre gambe non può che essere una emme!
"Voi, monaco Norberto?
"Ma non ci sono emme nella parola “!”
"Già, non ci sono emme, è vero… eh già…
"Ma il segno è abraso!
"Proprio così, eccellentissimo Abate, questa parola è stata cancellata e soprascritta, ci sono i segni di limatura sulle due gambe!
"Ma perché non sono quelli di una emme, miei superficiali confratelli,ma di una p, la p di peccato originale
"Ma no invece, venerato e sbrigativo maestro, guarda più in là, ecco, altre abrasioni!
"Per la Vergine Santissima, ma è vero, il testo è stato corretto!
"Mercato originale!
"Mercato originale? E che vuol dire?
"Vuol dire che Eva ha commesso il mercato originale!
"E sarebbe?
Sebastiano, che in un istante aveva sentito trasformarsi il cuore di pollo in un cuore di leone, proferì solenne:
"Dodici volte venerabile Anselmo, amato zio, la faccenda è seria…
"Vaffanculo! – rispose il dodici volte venerabile – lo vedo da me che è seria!
Per cena sarebbe stato servito abbacchio di leone.
Nei giorni successivi l’abbazia di Nonantola fu scossa da un fervore esegetico senza precedenti. L’Abate faticò non poco a impedire che la notizia uscisse dalle mura dell’abbazia, e corse più di un rischio finchè non convocò tutti i monaci nella navata centrale e proferì un convincente sermone con lo spadone in mano. Nessuno si sarebbe azzardato a divulgare alcunché, almeno per qualche giorno. Tempo in base al quale era d’uopo sciogliere l’enigma sull’autenticità del subscriptum. L’Originale romano era stato corretto, modificato e soprascritto, questo era chiaro, ma il sottoscritto non sempre era intelligibile, e prima di far uscire la cosa bisognava essere ben sicuri di quello che c’era scritto sotto, nel nome di Cristo e della Santa Fede Cattolica Apostolica eccetera eccetera. Sebastiano fu mandato in missione segretissima in Ravenna, dagli inimici bizantini, presso l’Esarca. E l’Esarca (che doveva ad Anselmo dei favori per via di certi suoi traffici non proprio leciti scoperti dall’allora Duca del Friuli e mai divulgati per carità cristiana e per modesta tangente del 33%) fece pervenire da Bisanzio un segretissimo originale greco che Sebastiano condusse oltre cortina all’Abate. Fra Guglielmo aveva parzialmente annotato a suo tempo un papiro ebraico del libro, e compara che ti compara, scrutando controluce la pergamena abrasa e traducendo alcune parti dal greco e dall’aramaico, con un lavoro certosino, dopo circa due mesi fu condotta all’Abate la ricostruzione probabile e altamente attendibile di ciò che stava scritto sotto il libro e che Roma aveva deciso di tacere a Teodolinda e alla cetera cristianità Longobarda, mutandone a proprio piacere il testo e il contenuto. Ed era incredibile!
Eva non aveva commesso il peccato, ma il Mercato Originale. La mela fu venduta, non mangiata.
La prima compravendita aveva spezzato per sempre l’armonia della creazione! Eva vendette per lucro la mela al Serpente, affamato, che gli chiedeva aiuto. Si impossessò arbitrariamente del frutto, messo come tutto l’Eden nella disponibilità collettiva delle creature, e lo vendette al Serpente costretto all’acquisto da stato di bisogno. Per questo Dio si arrabbiò moltissimo. Dopo il fatto, la nuova qualità umana acquisita da Adamo e Eva non fu già la conoscenza acquisita, col frutto del Bene e del Male, ma la riconoscenza negata! Essi non riconobbero più nel serpente, una delle creature, un cittadino di Eden, che come loro in quanto creatura era beneficiario dei suoi frutti, anzi lo demonizzarono come altro, come nemico, come un concorrente per il cibo.
Ma c’era ben altro.
Il peccato di Caino. Ma quale peccato! Il Mercato di Caino! Abele, padrone dei campi e dei coltivi, vendeva granaglie in cambio di pelli di animale a Caino, padrone dei boschi e delle selvaggine, ma lo truffava sul peso, truffando il fratello e commettendo peccato. No, cioè, commettendo Mercato. Dall’impari quanto libero scambio, profittando della domanda e dell’offerta, Abele ricavava plusvalore, interesse, profitto, accumulando beni che poi non avrebbe potuto utilizzare, che andavano al di là del suo effettivo bisogno, per il solo piacere di accumulo, sottraendoli a chi necessitavano per vivere. Di qui la rivolta di Caino, affamato, che uccise l’oppressore. E Dio si schierò con i padroni delle terre per diseredare i giusti! Michele Arcangelo fu scomodato per dare la caccia al primo latitante, che fu preso, arrestato e spedito in gattabuia. Sulla Luna.
"Questo non c’è scritto!
"Concesso, senza Luna, non cambia la sostanza. Dio si è schierato comunque con Abele contro Caino.
"Ma se Caino era il giusto, perché?
"Perché i Giusti cercano la Giustizia!
"E con questo? Ovvio, se sono Giusti…
"Perchè il vero Dio dell’uomo giusto è la Giustizia! – disse Guglielmo Monaco - I giusti adorano la Giustizia e la Verità, e non sono buoni adoratori di Dio direttamente, ma per riflesso, partendo da una Virtù Cristiana. Sono praticamente idolatri! L’uomo timorato di Dio, se è giusto, non potrà mai fare a meno di perseguire la Giustizia. Così anche il peggiore dei pagani, se è un uomo dal cuore retto, un uomo giusto, cercherà giustizia in ogni sua azione.
"Ma la Giustizia non è contraria a Dio, è appunto virtù cristiana!
"Ma Dio pretende adoratori di Dio, non della Giustizia!
"Vuoi forse dire che Dio sarebbe ingiusto?
"Non necessariamente. Pensateci bene: di cosa si preoccupa la Fede? Di vita eterna! Non di questa vita, ma dell’altra, eterna beatitudine. Invece, di cosa si preoccupa la Giustizia? Di questa, non dell’altra vita! Per questo l’alleanza di Dio è con i proprietari, i mercanti, gli avari bramosi di ricchezze. Non a caso chi sono il popolo eletto? Gli Ebrei!
"Ma se abbiamo appena visto che la proprietà è appropriazione violenta di un pezzo di Eden! I proprietari sono contro il Creatore e tutte le sue creature!
"Invece sono i proprietari i veri, autentici adoratori di Dio. Dai proprietari sono innalzate le cattedrali e ornate d’ori le chiese. I giusti hanno magari sfamato gli orfani ma non hanno mai edificato un solo altare. I proprietari invece hanno bisogno di altari, di masse adoranti un Bene immateriale e superiore da raggiungere in un altra vita, che distragga gli oppressi dal cercare beni in questa.
"Anzi, più in questa si patisce, più si acquista nella vita futura.
"E più, se si è proprietari, si mantieneplusvalore e si incrementa ricchezza.
"Da che il mondo è mondo, ogni ribelle proclama il nome della Giustizia, così come ogni oppressore compie il proprio misfatto nel nome di un qualche Dio!
"Ed ecco quindi il vero motivo della cacciata dell’Uomo da Eden: non il Peccato, mail Mercato Originale.
"Roma c’ha fregati! – disse l’Abate.
Quello che fu poi è stato rimosso dai libri di storia, scritti dai vincitori, ma è rimasto nelle leggende, cantate dagli sconfitti. Narra la leggenda che il furente Anselmo venne arso eretico dopo aver pubblicamente sbugiardato il papa romano, accusando i latini di aver convertito i longobardi ad una falsa religione di mercanti, nemica della natura e dell’ambiente, attraverso artificiose manipolazioni dei testi sacri. Ciò nonostante, da Nonantola un manipolo di amanuensi ribelli fece in tempo ad impestare tutti i ducati del regno con numerosi libercoli abusivi spacciati come vera bibbia, che non poco turbarono le popolazioni neo-converse e ancora poco avvezze delle tribù longobarde, che faticavano a abituarsi a regole di convivenza basate su possessi, prezzi, mercati e proprietà delle terre. Gente che questa storia del peccato non l’aveva mai capita. Ai tempi del nomadismo, fare l’amore era cosa naturale e scevra da ogni implicazione morale; quando c’era da menar le mani si menava, si stabiliva chi era il più forte e questo faceva il capobranco, anche qui senza nessuna implicazione morale. Nessuno aveva da farsi perdonare adultèri o lesioni personali da preti assetati di confessioni. Denari non ce n’erano, tasse nemmeno, le terre erano di tutti e si stava meglio di adesso. Le tesi sovversive fecero presa anche nella corte, e il re si schierò con Anselmo. Tanto che il papa in fretta e furia dovette chiamare in suo aiuto il re dei Franchi. Con Bisanzio che versava in condizioni di difficoltà, l’Esarca non potè portare aiuto al legittimo re. Anche perché a Bisanzio, tutto serviva meno che idee sovversive dei diritti di proprietà, e si guardò bene dall’intervenire. Franchi e Papato, qua corrompendo se inferiori di forze, qua sterminando se superiori, riuscirono ad aver ragione in breve tempo di un’intera nazione che, prima dominante in Italia, scomparve senza quasi lasciare traccia. Cioè fu fatta scomparire. E le tracce furono scrupolosamente cancellate. Nonantola stessa fu normalizzata e affidata a un abate franco, gli amanuensi tutti uccisi o dispersi. Leggenda vuole che Sebastiano trovò rifugio prima presso una compiacente dama, poi, sotto mentite spoglie, in una lontana abbazia benedettina, in Bretagna. Leggenda vuole, che nelle segrete teche di una lontana abbazia bretone, siano ancora segretamente custoditi i testi sacri originali, ricostruiti e tramandati da Sebastiano, detti “la Bibbia Longobarda”. Ma sono solo leggende.
